Con la mostra “L’indispensabile superfluo. Le ceramiche di Pietro Melandri (1885-1976)”, a cura di Roberto Cobianchi, la Galleria Brun Fine Art, in collaborazione con Marco Arosio, presenta per la prima volta, nei prestigiosi spazi di Via Gesù a Milano, un omaggio ad uno dei grandi maestri della ceramica italiana del Novecento, Pietro Melandri.
Se la “preziosa arte ceramica” ha ormai ricevuto il posto che le spetta nel contesto artistico Nazionale, grazie alle fantasie Art Nouveau di Galileo Chini, all’eleganza Decò di Gio Ponti, alle astrazioni di Fausto Melotti e Lucio Fontana e al neo-cubismo di Leoncillo Leonardi, al faentino Pietro Melandri è riservato un merito speciale: avere usato la ceramica con un’autonomia di espressione artistica assoluta.
Attraverso le opere, la mostra ripercorre le fasi creative di Melandri, dalla produzione della società Melandri & Focaccia (1922-1933), alla sperimentazione più autonoma della piena maturità negli anni Quaranta e Cinquanta, quando le grandi doti tecniche che da sempre gli vengono riconosciute, soprattutto nella resa dei lustri metallici, si arricchiscono di un immaginifico mondo di figure e segni di ispirazione naturalistica che giungono, nelle celebri “grottesche”, a una tale metamorfosi rispetto ai modelli di riferimento da risultare totalmente nuove e peculiari della sua produzione.
Avviato fin dall’infanzia alla pratica di quell’arte con cui la città di Faenza vive in simbiosi da secoli, Melandri approfondì la propria cultura artistica frequentando i corsi serali della locale Scuola d’Arti e Mestieri e gli ambienti artistici di Milano – dove visse dal 1907 fino allo scoppio della prima guerra mondiale –, così che l’esito di una formazione non esclusivamente di bottega fu quello di un ceramista d’eccezione, interessato all’arte del passato e insaziabile “consumatore” di quella contemporanea.
L’avventura creativa di Melandri non rimase circoscritta al più alto artigianato, ma entrò a far parte del dibattito culturale e artistico tra le due guerre, per merito delle sue grandissime qualità formali e tecniche, e in virtù di una congiuntura storico-critica che nella prima metà del Novecento fece della ceramica una protagonista dell’attività espositiva e di discussione intorno alle arti applicate. Quella della ceramica fu una rinascita che venne intercettata anche dall’avanguardia futurista con il Manifesto della ceramica e aereoceramica del 1938, firmato da Filippo Tommaso Marinetti e dal ceramista Tullio d’Albisola.
Un’opera come la Maschera del vento appartiene a una serie di sculture da considerare a buon diritto tra i vertici della plastica di Melandri, nelle quali il modellato è magistralmente arricchito dalla qualità della pelle vitrea ricca di iridescenze e effetti materici. Melandri non fu soltanto uno squisito modellatore di piccole plastiche, talvolta prossime al divertissement come l’Orfeo (1935 c.) o la Nereide sul cavallo marino (1942 c), ma si distinse nella scala monumentale, dalla Venere Moderna del Museo Internazionale della Ceramica di Faenza, alla Vergine Assunta (1932) che la Galleria Brun Fine Art esporrà in questa occasione.
Del tutto particolari furono infine i numerosi rivestimenti in ceramica destinati alla decorazione di ambienti pubblici e privati, nati dalla collaborazione di Melandri con alcuni dei più significativi architetti del Novecento italiano, in primo luogo Melchiorre Bega e Gio Ponti. Grazie alla cooperazione tra Brun Fine Art e Marco Arosio, verrà esposto uno degli eccezionali pannelli (330 x 122 cm di media) che decoravano il Caffè Irrera di Piazza Cairoli a Messina, radicalmente rinnovato nel 1953 dall’architetto Filippo Rovigo. Questa decorazione è la più eccentrica e stupefacente tra quelle destinate da Melandri all’architettura. Nei suoi quindici pannelli, composti ciascuno da numerosi elementi di forma irregolare, il maestro definì i contorni delle figure con un tratto filiforme – un cordone di colore rosso – che eguaglia nel suo fluire quello del disegno. Per queste figure di giovani donne dalle proporzioni allungate, le fattezze innaturali e le vesti stravaganti Melandri non attinse al suo più personale e ormai consolidato vocabolario di immagini – si pensi ad esempio alla splendida decorazione murale del bar dell’Hotel Roma di Bologna, oggi al MIC di Faenza – ma fece piuttosto riferimento all’arte contemporanea: dal Gallo di Picasso, alle nature morte cubiste, dalle proporzioni di Modigliani alle forme precise e sinuose di Matisse. Melandri immerse l’ispirazione cubista in un mondo visionario e magico che da Alberto Martini sembra giungere a Leonor Fini.